il retro del "Terzo Stato"L'altro punto di vista del "Terzo Stato" è che il popolo ha girato le spalle alla politica, ma così ha dato la vittoria a chi al popolo tutto vuol dare tranne la sovranità.

Un messaggio del fondatore scritto nel 2010 per un intervento in pubblico:

Appare evidente che il vero problema è l’IGNORANZA, non come degrado dovuto a grandi drammatici e tragici eventi (guerre, disastri naturali, carestie, ecc.), ma come strategia politica per mantenere il controllo sulle masse, non più in grado di agire da esseri coscienti e senzienti.

Grazie a ciò, la manipolazione della popolazione è infatti ben più facile, inclusa l’accettazione che qualcuno più preparato si prenda la RESPONSABILITÀ (è questa l’altra parola chiave) di gestire il potere “… levando un grosso peso dalle spalle della gente” (quindi, lo stanno facendo per noi! Capite? Bel paradosso, vero?).

Dal ’68 in avanti, la politica e la sua classe di potere si è sempre più orientata a tale strategia, in uno gnosticismo che li ha ormai travolti, auto-incensandosi come dei “salvatori” (nei casi più patetici) o dei “dittatori necessari” (per i più cinici).

Invece di far crescere la popolazione per ottenere milioni di potenziali persone adeguatamente pronte a farsi carico di un DOVERE civico (questo è il vero impegno politico, un onere più che un onore), il sistema educativo di sempre più i paesi sta degradando verso livelli di guardia, finora calmierati solo da quegli insegnanti che hanno chiaro la RESPONSABILITÀ (eccola ricorrere ancora) del loro ruolo… Ma, stanchi di nuotare contro corrente, questi ultimi sono sempre meno.

Perciò, un vero cambio radicale consiste nel creare una strategia che aiuti tutti, giovani e meno giovani, a riscoprire la propria individualità e il PIACERE, la SODDISFAZIONE, di farne un uso costruttivo, aiutando anche gli altri a scoprire lo stesso.

Alla luce di ciò, sto lavorando alla nascita di una SCUOLA di POLITICA per Cittadini, indipendente dai partiti, con l’obiettivo di aiutare le persone a capire meglio e non farsi manipolare facilmente, nonché preparare ad un livello accettabile chi voglia impegnarsi in prima persona.

L’ho chiamata POLIS ETICA, e non vi nascondo che comporta indubbiamente un lavoraccio; ma, se ben strutturata con i giusti portatori di know-how (e l’amministrazione pubblica e una certa quota della politica, quelli che ci sono entrati con vero senso civico, ne ha in abbondanza) e un gruppo etico che prevenga possibili tentativi di inquinamento di parte o di boicottaggio, potrebbe perfino arrivare a coadiuvare scuole e università.

Quindi, al di là dello scambio di idee, indubbiamente sempre utile, vi interessa contribuire a fare dei fatti?

… Sembra troppo difficile? Non vi sottovalutate. Fareste il gioco di chi ci sta trattando da miseri imbecilli che non sanno prendersi una RESPONSABILITÀ e conta sulla nostra definitiva resa per rendere il loro gioco più facile.

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2020, IL MOMENTO E’ GIUNTO: NASCE POLIS ETICA

Le parole hanno un significato.

Ci sono due parole che sono fondamentali; POLITICA e DEMOCRAZIA.

POLITICA è una parola che origina dal greco antico ed è formata significativamente dalle due parole “POLIS” (comunità, città, cittadinanza) ed “ETICA” (regole comportamentali). In realtà c’è un’altra parola greca che fu la logica evoluzione di un concetto che le due parole originarie ben indicavano: POLITIKOS.

La Politica è la scienza e l’arte di governare una comunità, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione della comunità stessa sulla base di valori e princìpii condivisi, nonché la definizione dei diritti e dei doveri dei membri della comunità per favorirne e garantirne la convivenza pacifica e costruttiva.

La Politica riguarda anche l’organizzazione e l’amministrazione di tale aggregazione umana – che negli ultimi secoli è stata definita nella sua massima estensione come “stato” – e la direzione della vita pubblica.

Quello che è certo è che la politica deve essere idealmente gestita da persone all’altezza del compito, perciò in grado di farsi carico di elaborare e scegliere le regole aggiuntive e le iniziative migliori per la comunità e di metterle in atto.

Ma è altrettanto certo che dette persone devono essere controllate o che siano almeno potenzialmente controllabili da tutti i membri del gruppo sociale nel cui nome ed interesse agiscono, altrimenti chi ha il potere potrebbe abusarne, fin troppo spesso in modi che nel tempo possono rivelarsi sempre più sgradevoli.

Se gli “aventi diritto” sono solo una parte privilegiata della popolazione complessiva siamo in presenza di una OLIGARCHIA (Potere di pochi oligos: pochi), o, se costoro si sentono al di sopra degli altri, migliori, la si definisce ARTISTOCRAZIA (potere dei migliori, aristos: migliori).

Ma se tale, diritto si estende pariteticamente a tutti i membri della comunità e perciò a tutto il popolo (DEMOS), il sistema si impernia su di una forma di governo definita “DEMOCRAZIA (dal greco antico cratòs (governo o potere) del popolo (demòs).

Il fattore umano

L’altro aspetto con cui bisogna fare i conti è la natura umana, che può produrre le cose più belle ed utili e in armonia con la Natura, tanto quanto gli atti più distruttivi e nefasti per tutto e tutti. L’Uomo non nasce cattivo o buono, ma, a seconda delle sue esperienze, può diventare l’uno o l’altro o alternarli nel suo interagire con la realtà. L’istinto umano, al servizio dello spirito di sopravvivenza, può indurre a varie forme di egoismo. La cultura umana, risultato del processo evolutivo, nei secoli ha teso sempre più a perorare e premiare i comportamenti buoni, altruistici e gli atti costruttivi e di rispetto verso l’intera umanità e l’ambiente naturale. La battaglia attuale è tra l’egoismo istintivo che sta assaltando e assediando la cultura sociale per prevalere come forma , essendo la Politica una delle principali fonti di potere, tutti coloro che vogliono il potere per fini disonesti o per prevalere sugli altri faranno di tutto per metterci sopra le mani.

E, una volta messeci le mani, quasi sempre costoro elaborano ed applicano regole non scritte ma estremamente influenti ed efficaci, spesso travestite ipocritamente da “rimedi a protezione della democrazia” oppure abilmente nascoste tra le righe di leggi e regolamenti, con il fine di rendere difficile o impossibile ad altri l’accesso al potere o il controllo su chi lo detiene, ovverosia, realizzando di fatto un’oligarchia o una vera e propria dittatura monocratica.

Alcuni tra costoro si sono difesi affermando che era l’unico modo per proteggere i cittadini da sé stessi e dalla loro ignoranza, visto che, non conoscendo o sottovalutando gli enormi problemi e le trappole che sono insite nella gestione politica, rischierebbero ingenuamente il collasso del sistema e/o la vittoria definitiva di un despota.

Una forma mentis che ricorda le scusanti con cui alcuni pessimi genitori mantengono il controllo sui propri figli, impedendo loro di crescere psicologicamente e divenire indipendenti, evoluzione che avviene solo se dato loro modo di prendersi delle responsabilità. La giustificazione addotta è che il dovere dei genitori è di “proteggere” i figli… che però andrebbero protetti proprio da tali genitori.

Sono dei pessimi genitori perché non hanno capito – o fanno finta di non capire – che l’unico loro dovere consiste nell’aiutare i figli a crescere ed a stare sulle proprie gambe proprio facendo loro prendere coscienza delle responsabilità che ciascun essere umano ha verso se stesso e tutti gli altri membri della propria comunità. E talvolta il vero motivo è che quei “genitori” non vogliono essere sostituiti dai giovani nel governo del potere (in famiglia o nel resto della comunità), perché di tale potere si sono innamorati troppo, facendolo diventare una droga di cui non riescono a fare a meno.

Allo stesso modo, nonostante la DEMOcrazia sia l’unica forma di governo della politica che consenta all’intera comunità di mantenere un controllo sulla propria esistenza, chi grazie alla democrazia arriva al potere potrebbe essere tentato di impedire ai più di interferire con il suo potere.

Uno dei metodi più efficaci per ottenere tale risultato, pur mantenendo la facciata di un’apparente democrazia, consiste nell’abbassare il livello di conoscenza e informazione delle persone, cioè facendone degli ignoranti che non sarebbero comunque in grado di sostituirli alla guida della comunità. Un’altra strategia consiste nel mantenere la maggioranza della comunità in uno stato di bisogno e di emergenza, per lo più economica, così da costringere la popolazione a impegnarsi principalmente nella ricerca di soluzioni alla propria indigenza o debolezza e pertanto non avendo il tempo di interessarsi anche di politica.

Il rimedio è la conoscenza

L’unico modo per evitarlo è che i cittadini di quella comunità siano costantemente vigili e pronti ad intervenire, avendone gli strumenti e l’abilità. Idealmente, sarebbe anche meglio se i cittadini fossero in grado di sostituire chi ha sbagliato troppo o si è comportato male.

In sostanza, gli elettori dovrebbero poter proporre e poi eleggere nuovi candidati affidabili, veramente scelti da loro.

Però, tale abilità comporta che gli elettori siano ben preparati, a partire dal comprendere quali sono i criteri ed i parametri con cui giudicare i candidati e poi gli eletti, al contempo conoscendo cosa costoro stanno affrontando e le relative complicazioni, possibilmente avendo almeno un’infarinatura delle problematiche burocratiche della macchina amministrativa, ed infine, imparando i trucchi, le trappole, le manipolazioni e le demagogie eventualmente architettate dagli esponenti più scaltri del sistema politico.

Il problema non sono i partiti ma chi ne devia la natura

Ed è lì il problema. Teoricamente, i partiti politici, se fossero veramente ciò che la Costituzione descrive, cioè uno strumento organizzativo a disposizione dei cittadini che hanno idee simili per metterli in condizione di studiare le soluzioni ai problemi della comunità e trovare le persone qualificate per realizzarle, tali partiti politici dovrebbero anche formare quanto meglio possibile i candidati alle cariche pubbliche elettive, mettendoli in condizione di apprendere e saper applicare tutta la conoscenza necessaria, così da creare la nuova classe dirigente del paese, almeno dal loro punto di vista.

Purtroppo, in questa impostazione di principio ci sono due punti deboli che, se non propriamente e risolutamente affrontati, rimangono una pesante palla al piede dell’intera comunità italiana… ed ora anche dell’intera Europa, che rischia d’essere definitivamente affossata anche dalle incongruenze e inadeguatezze della politica italica:

  • Il primo punto debole sono i partiti politici stessi, chi più chi meno, la cui impostazione “popolare”, cioè l’essere degli strumenti democratici a disposizione del popolo, come li definisce sostanzialmente la Costituzione, è stata progressivamente erosa e poi definitivamente capovolta, facendone dei “centri di potere”, troppo sensibili all’influenza degli altri poteri forti (finanziario, economico, religioso, ecc.) e sempre meno alle pulsioni e aspettative del popolo che dicono di rappresentare.

Ancor più grave è la loro tendenza a diffondere, sia tra i propri iscritti ed eletti, sia tra i propri elettori, l’idea che “tutti gli altri”, i partiti e i cittadini che non la pensano come loro, sono dei “nemici” e non dei loro concittadini, che vanno comunque rispettati, con idee diverse che vanno comunque rispettate. Una strategia che rende difficile se non impossibile qualsiasi dialogo tra le parti, e crea un conflitto sociale artificioso ma molto comodo per chi vuole mantenere il potere o conquistarlo sfruttando la paura degli altri o l’odio verso gli altri così artificiosamente creati. Una strategia tanto antica che al tempo dell’Impero Romano fu sintetizzata da tra semplici parole: DIVIDI ET IMPERA (tienili divisi e li controllerai).

Per ottenere tale effetto, è necessario contare sull’ignoranza delle persone, ‘ché altrimenti saprebbero che il dialogo risolve tutto.

Fatto sta che fin dagli anni ’80, i partiti politici hanno progressivamente eliminato le loro “scuole interne”; decisione che può sembrare assurda, ma che purtroppo è “logica” se si prende atto che, a partire dalle proteste giovanili del ’68, il sistema politico si è sempre più arroccato nei palazzi del potere ed ha sempre meno dato spazio al dialogo con la società civile.

Per giustificare ciò. La classe politica di potere ha sfruttato perfino le proteste più violente ed efferate negli anni ’70, come il terrorismo nostrano, facendone una delle “emergenze” per giustificare il mantenimento del potere da parte di chi si è auto-definito “baluardo a protezione della democrazia” o “protettore degli interessi dei cittadini”.

Sta di fatto che da allora il paese è stato paradossalmente sotto la costante minaccia di almeno una “emergenza”, “emergenze” e “conflitti” d’ogni tipo (economiche, sociali, politiche, internazionali, terroristiche, disastri naturali, ecc., ecc.) e provenienza (sempre e comunque da “nemici del popolo italiano”… e perciò del governo che li “proteggeva”, bontà sua); spesso problemi reali che, benché fossero normalmente gestibili, sono stati ingigantiti e presentati come “pericoli incombenti”. Comunque, sono 50 anni che il paese è in un perenne “stato d’emergenza”.

Il che, ovviamente, ha giustificato il mantenimento dello “status quo” e il rinvio di tutte le riforme urgenti richieste dai cittadini in ogni maniera e così eluse.

Il che spiega come mai, nonostante l’enorme potenziale italiano, il paese sia il fanalino di coda dell’Europa.

Fatto sta che i partiti politici, chi più chi meno, sono sempre meno “partiti popolari” (aperti alla partecipazione dei cittadini) e sempre più infarciti di persone iscritte solo per avere in cambio dei “favori personali” (posti di lavoro, permessi di costruzione, appalti, ecc.) e perciò controllati dai capi indiscussi delle varie “correnti” interne. Un meccanismo che ha ben poco di “democratico”, perché è il vertice che controlla la base e non il contrario, come dovrebbe essere.

Ciononostante, nei partiti, chi più chi meno, vi sono anche molte, moltissime persone che lavorano, con grandi difficoltà, per cambiare tutto ciò e per gli interessi della comunità.

  • Il secondo punto debole è la carenza o assenza di fonti oggettive sulle parti politiche in competizione.

In teoria, prima di decidere per quale partito e candidato votare o, eventualmente, a quale iscriversi, un cittadino avrebbe bisogno di farsi un’idea di come funziona il sistema politico nel suo complesso, con tutti i suoi pregi e, ancor più, tutti i suoi difetti.

Dovrebbe poter capire la natura di tutti i partiti che sono presenti, dai più piccoli ai più grandi, nessuno escluso, e quali idee, intenzioni e proposte hanno nei vari campi, così come e soprattutto quali sono i loro problemi e il loro sistema di potere interno, nonché gli strumenti veramente o solo apparentemente democratici a disposizione degli iscritti, se ce ne sono.

In realtà, i cittadini hanno a disposizione ben poche fonti oggettive sulla politica e sui vari partiti e i loro pregi e difetti.

Al di là delle varie fonti di parte, che ovviamente parlano bene di sé stessi e male degli altri, la stampa e i media sono troppo poco o per niente indipendenti dalle influenze dei partiti politici, o comunque appaiono (e sarebbe la loro sola giustificazione) quantomeno poco attrezzati, culturalmente e operativamente, per individuare e denunciare le varie forme di demagogia, disinformazione e manipolazione diffuse da chi evidentemente pensa che fare politica significhi:

  1. avere una “licenza di vincere e prendere il potere ad ogni costo e con ogni mezzo”, anche distruggendo gli altri concorrenti, che tratta non come dei cittadini comunque meritevoli di interessarsi della cosa pubblica e di impegnarsi per migliorarla, ma come il nemico,
  2. uno stato di grazia per cui “ogni cosa è possibile e giustificabile”, come se “la lotta politica autorizzi ogni cosa, anche la più sporca”.

Un approccio, tanto cinico quanto ipocrita, a cui la politica italiana ha progressivamente abituato i cittadini in genere, così che ormai tale atteggiamento arrogante e supponente è divenuto tanto “normale” che chi si indegna viene perfino tacciato d’essere esagerato e poco realista o addirittura ignorante (un patetico esempio di transfer).

Neppure la scuola offre una vera e adeguata “educazione civica” che, per chi non lo sapesse, nel 1975 fu eliminata come materia d’insegnamento nelle scuole italiane con un’abile scusa che sembrava perfino osannarla (la devo rintracciare quella circolare ministeriale, un vero e proprio capolavoro di demagogia! Insomma, la stronzaggine e la spocchia fatta arte), cosa avvenuta paradossalmente nel peggior momento dei cosiddetti “anni di piombo” del terrorismo nostrano, proprio quando più che mai sarebbe stato utile contare su di una popolazione conscia dei propri diritti e doveri e pronta a difendere la propria Costituzione. Eppure… Beh, evidentemente, non è alla vera democrazia che allora si puntava, altrimenti sarebbe stato essenziale poter contare su di un popolo (un “demos”) ben preparato.

Eppure, le cose erano partite un po’ meglio

nel 1946, l’avvento della Repubblica In Italia era stato salutato da tutti come una “rivoluzione copernicana”, realizzando il sogno di Mazzini e Garibaldi, i nostri due Giuseppe.

Agli albori della Repubblica, tra il 1946 e il 1948, l’Assemblea Costituente redasse la Costituzione Italiana, un testo che ancora oggi ci viene invidiato nel mondo, frutto di un lavoro paziente in cui tra le parti ha prevalso la ragionevolezza e la voglia di vera democrazia, anche perché ancora provate dal disastro generato dal Fascismo e dalla conseguente alleanza con i Nazisti, seguita dalla guerra che costoro avevano provocato, mettendo il paese in ginocchio.

I veri Statisti e i saggi intellettuali del nostro ultimo dopoguerra, consci del diffuso analfabetismo e perciò della difficoltà per la maggioranza della popolazione di farsi carico adeguatamente della propria “sovranità”, investirono strategicamente sulla SCUOLA per far sì che le nuove generazioni fossero all’altezza del compito e che quei “tutori temporanei” potessero finalmente passare loro il testimone. Ma quando, a partire dal 1965, le prime generazioni colte cominciarono ovviamente a proporre quei cambiamenti che ritenevano necessari in un paese che era ancora pieno di difetti, non furono affatto ascoltati, bensì snobbati, al punto di indurli alle proteste del 1968.

Ma la mancanza d’ascolto non bastò. Alla polizia fu ordinato di contrastare, anche con la violenza, quelle manifestazioni pacifiche, presentate come “un inaccettabile attentato alla solidità della democrazia” e così pestando quei giovani colpevoli solo di aver criticato chi aveva governato fin lì, nonostante chiedessero solo che il governo valutasse le loro proposte.

Che cosa era accaduto? Evidentemente, una parte di coloro che erano stati indisturbati al potere dal 1948 non aveva alcuna intenzione di dare spazio a quei giovani “scocciatori” e, con la scusa che non erano ancora all’altezza o che quel che proponevano non aveva senso, li hanno bollati come un “pericolo” per la democrazia, dimenticando o facendo finta di non sapere che quello era il “demos” la cui emersione i costituenti avevano saggiamente stimolato.

Questo episodio e il conseguente conflitto tra la società civile e i politici va letto alla luce di quanto era accaduto prima nella Storia del nostro paese, perché nel loro insieme sono fatti che consentono di meglio capire perché in Italia aleggi da sempre un pessimo rapporto con il potere e una prevalente tendenza ad un individualismo che prescinde da ogni senso della comunità e dello stato.

  1. Nei precedenti 15 secoli, il potere in Italia era stato quasi sempre e quasi ovunque nelle mani di despoti, spesso stranieri che si erano spartiti ciò che era rimasto dell’Impero Romano.
  2. Il fascismo, all’inizio molto promettente per aver ridato dignità all’identità italiana e messo in opera molte migliorie, si era poi rivelato un vero e proprio incubo, aggravato dall’aver consegnato il paese ai nazisti e dal comportamento del nostro re che ha lasciato accadere tutto questo.
  3. Nonostante noi italiani avessimo combattuto per disfarci di fascisti e nazisti, siamo stati trattati come uno dei due paesi che avevano perso la guerra, alla stregua della Germania, cosa che ha “giustificato” perfino che ci fosse rubato, per l’ennesima volta, una parte del nostro territorio nazionale faticosamente rimesso insieme da Garibaldi e dal popolo che l’aveva seguito.

Considerando tutto ciò, ci si può davvero meravigliare che il retaggio culturale degli italiani, infarcito della sofferenza patita per secoli a causa dell’oppressione del potere assoluto e indiscutibile, sia riemerso prepotentemente dall’inizio degli anni ’70 a seguito della delusione che quella che veniva presentata loro come la “loro” Repubblica, finalmente DEMOcratica, si comportava come i precedenti oppressori, insanguinando con il sangue degli italiani le strade del paese?

I due successivi momenti storici in cui i cittadini hanno sperato in un vero cambiamento sono stati 1) il crollo della Prima Repubblica e dei suoi partiti politici (1992/1994) e 2) l’esordio delle Primarie Aperte (1999/2005).

Il primo è stato ben presto vanificato da un’abile strategia di riciclaggio dei vecchi partiti sotto altre spoglie, presentate come il “nuovo, ma che hanno avuto lo scopo di assorbire e annichilire le pulsioni propositive che fiorivano in quegli anni nella società civile.

Il secondo momento storico, consistente nell’applicazione per la prima volta delle Primarie Aperte, come nuova forma di partecipazione popolare alle scelte chiave dei partiti, è scemato nella sensazione di un ulteriore illusione:

  • il primo episodio (1999) si è ben presto rivelato un fuoco di paglia. Parlo del clamoroso esordio delle primarie aperte di AN in occasione delle elezioni provinciali di Roma, volute dall’opposizione interna del partito che però a Roma era maggioranza, ma subito liquidato dal leader del partito, Gianfranco Fini, come “un bellissimo episodio di partecipazione popolare, ma purtroppo inapplicabile in una coalizione come il Popolo delle Libertà”);
  • il secondo episodio, usato intelligentemente da Prodi, su suggerimento di Parisi, per controbattere la sua debolezza all’interno del partito (in cui non aveva una propria corrente), è successivamente degradato in una mera astuzia di un partito per fregiarsi del diritto di definirsi “democratico”, visto che tali “primarie”:
  • vengono “concesse” dal vertice di un partito e non fissate una volta per tutte per legge,
  • il vertice decide o ha l’ultima parola sulle candidature ammesse,
  • e sempre il vertice fissa di volta in volta le regole delle primarie che meglio rispondono alle sue esigenze del momento.

… Come si può avere l’ardire di definire quella roba come “primarie aperte” e non un ulteriore abuso della pazienza dei cittadini solo la storia delle furbate all’italiana lo può far capire.

Fatto sta che alle ultime elezioni, 4 marzo 2018, il PD ne ha pagato pesantemente le conseguenze, perché ha perso buona parte della sua credibilità come soggetto riformatore… e l’inerzia su altri temi, come il conflitto d’interesse, ne sono le concause.

Oltre al popolo, la vera vittima è la vera Politica

La critica più frequente che viene espressa nei confronti della Politica da un consistente numero di cittadini italiani concerne la sensazione, comprovata da fin troppi fatti, atti e misfatti, che chi è stato eletto non agisce nell’interesse dei cittadini ma di altri soggetti e comunque spesso contro gli interessi degli elettori.

L’accusa, che nella maggioranza dei casi è vaga e ingiustamente generalizzata, ma alle volte è fin troppo circostanziata, ha dato origine ad un parere negativo sulla politica ed i politici in genere, mettendo in cattiva luce anche coloro, la maggioranza, che si impegnano in politica con le migliori intenzioni… ma tale maggioranza di fatto non ha accesso al potere vero e quei pochi che vengono ammessi nelle istituzioni sono o opportunamente asserviti o spietatamente ricattabili.

Non è prendendosela con la Politica che si risolve il problema, bensì fronteggiando coloro che l’hanno trasformata nel loro strumento di potere.

E non li si deve fronteggiare con i loro metodi, “contro”. Piuttosto costruendo una società civile evoluta e in grado di prendere lo scettro della sovranità e prendersene la RESPONSABILITA’.

La questione culturale è il vero problema

Pertanto, il vero problema in Italia (e non solo, credetemi) non è solo e soltanto la “classe politica”, bensì consiste in un più generale problema culturale, da perseguire su due fronti:

  1. L’obiettivo principale consiste nell’educazione della popolazione, affinché i cittadini capiscano il proprio ruolo fondamentale e come esercitarlo, nel loro insieme e singolarmente, prendendosene la RESPONSABILITÀ e perciò diventando il DEMOS di cui ogni vera DEMOcrazia ha assolutamente bisogno, Cittadini con la “C” maiuscola, perché in loro assenza la supposta “democrazia” diventa, com’è accaduto in Italia, un’oligarchia di fatto.
  2. L’altro obiettivo si concretizza nella più adeguata formazione e preparazione, psicologica e operativa, di coloro che intendano avventurarsi nella politica, affinché, piuttosto che subire la manipolazione di coloro che, forti della loro esperienza sul campo, presentano la pessima “politica” da loro praticata finora come l’unica e realistica modalità esistente, siano attrezzati per mettere costoro in condizione di non nuocere loro e piuttosto auspicabilmente convincerli, ancor più che costringerli, ad accettare l’avvento del “Rinascimento della Politica” di cui tutti sentiamo il bisogno e l’urgenza.

Nasce un attore indipendente dai virus anti “politica democratica”

Da queste premesse e considerazioni è nata l’idea di costituire una “scuola indipendente di politica”, una rete che, tramite Internet e luoghi d’incontro sul territorio, metta in condizione i cittadini di capire la politica, per controllarla e non subirla e, se del caso, entrarvi a ragion veduta e con un adeguato senso civico, mai scordando che le relazioni umane sono destinate al successo e alla longevità solo se costruite con l’elemento più potente ed essenziale: l’Amore.

Perché in politica, come nella vita bisogna sapere e voler dare e quantomeno contenere la tentazione di prendere solamente. Amore, appunto.

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Guido De Simone

Un pensiero su “Perché POLIS ETICA”

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